Piatto piange

Segnalo un'analisi sbeffeggiante e insopportabile sulla crisi del box office italiano.
I numeri, però, fanno impressione.
E devono spingerci alla riflessione...
Si salvi chi può. Cifre alla mano, la stagione cinematografica 2011-2012 che si è appena conclusa ha dimostrato che il grande schermo è, se non defunto, certamente ammalato grave. I dati implacabili pubblicati, come ogni anno, nel numero di agosto della rivista specializzata Ciak, non lasciano spazi a dubbi. Il box office cinematografico italiano ha risentito pesantemente non solo della crisi economica che, indubbiamente, ha scoraggiato il pubblico generalista a recarsi nelle sale ma ha anche registrato una perdita di interesse nello zoccolo duro dei cinefili; il che non è un segnale benaugurante per il futuro della settima arte.Il primo dato che emerge tra quelli raccolti da Cinetel (che analizza circa il 90% dell'intero mercato) è già, di per sé, devastante.
Negli ultimi dodici mesi, le sale italiane hanno registrato una perdita di 16 milioni e mezzo di spettatori rispetto alla stagione precedente (da 103,6 siamo passati a 87,1 milioni di paganti); il che, tradotto in termini di incassi, significa 100 milioni di euro in meno nelle casse.Tutti hanno contribuito alla discesa negli inferi del botteghino ma è certo che la «colpa» più grande sia da attribuire alle produzioni italiane. Sono i dati a sancirlo. Nel 2011-2012 la nostra quota di mercato è scesa dal 37,9% al 30,8% a causa dei quasi 13 milioni di biglietti in meno staccati per i nostri film (da 39,2 siamo scesi a 26,8 milioni di spettatori). Il che ha portato in dote tutta una serie di segni meno. Rispetto alla stagione prima, ad esempio, le pellicole tricolori presenti nella top ten scendono da sette a tre (Benvenuti al Nord, Immaturi 2, Vacanze di Natale a Cortina); per non parlare del fatto che lo scorso anno avevamo piazzato ben quattro film nei primi quattro posti mentre in questo abbiamo salvato solo il primo grazie al sequel del film con Bisio e Siani, trionfatore della stagione (con più di 27 milioni di incasso e oltre 4 milioni di paganti). Il filone nazionalpopolare dei cinepanettoni è certo calato (come spiegare, però, l'exploit de I soliti idioti?) ma mai come il flop registrato dalle cosiddette pellicole d'autore. Come sottolinea perfettamente l'articolo di Franco Montini, la tradizionale quota dei 5/6 milioni di euro, considerata una sorta di standard per i film di qualità, è stata centrata solo da Sorrentino con il suo poetico This Must Be the Place. Minimo sindacale che, invece, ha disatteso gente come Ozpetek, Avati, Amelio, Crialese, Comencini (Cristina) che, pur con titoli più o meno riusciti, ha ottenuto risultati se non modesti almeno sotto alle aspettative (non li ha certo agevolati qualche criticabile scelta di distribuzione). Ed è questo che deve preoccupare maggiormente perché di solito i film d'autore vengono visti dai cinefili non dell'ultima ora, da chi cioè garantisce, durante l'anno, una presenza quasi fissa. Ci sta, insomma, che calino i paganti per i blockbuster (che attirano un pubblico più eterogeneo e generalista) ma se inizia a scendere anche la nicchia allora l'allarme è proprio rosso.Non sta meglio l'America (sceso da 51 a 40 milioni di spettatori) che non ha piazzato un solo titolo sopra i 20 milioni di incasso a dimostrazione che il carrozzone del 3D ha finito di sfornare uova d'oro. A parte The Avengers, infatti, i film che hanno fatto boom negli States da noi non hanno sfondato, a partire dall'atteso Hunger Games finito addirittura 49esimo. Se il rosso non è stato ancora più acceso, in questo marasma, lo si deve all'intervento della «Bce» del grande schermo, ovvero i film inglesi (grazie però a due lungometraggi come il sequel di Sherlock Holmes -finito secondo- e a Hugo Cabret che assomigliano più a blockbuster Usa) e soprattutto quelli francesi (Quasi Amici è sesto) la cui qualità non finiremo mai di elogiare. Una costante, invece, c'è, indipendentemente dalla stagione. I film premiati nei vari festival e quelli decantati e strombazzati da una certa critica vanno cercati, nel listone dei primi cento, con il lanternino. Più se ne parla, meno il pubblico ha voglia di vederli. Sarà un caso?
 
Fonte: Il Giornale