Il cinema specialmente – Tre incontri sul cinema di Giuseppe Bertolucci

Dopo la prima parte del 2012, è nel segno di Roberto Benigni la seconda parte della rassegna dedicata a Giuseppe Bertolucci, che si svolgerà a gennaio 2013, con tre incontri presso il Cineporto di Lecce (Via Vecchia Frigole, 36 – ore 20,30 – ingresso libero), organizzata dall’associazione culturale Spaziocineforum in collaborazione con Apulia Film Commission.
Il programma della rassegna propone martedì 15 gennaio - ore 20,30 - il film "Berlinguer ti voglio bene", firmato da Bertolucci che ne ha curato soggetto e sceneggiatura insieme a Roberto Benigni.
Tratto dallo spettacolo teatrale di Benigni Cioni Mario di Gaspare fu Giulia del 1975, e trasformato in film da Giuseppe Bertolucci nel ’77 in un solo mese di lavorazione, registrò un sonoro fallimento al botteghino, anche a causa della censura imposta dal perbenismo di allora.
Vien fatto di considerare un documentario il film sul Cioni Mario (il nome del protagonista interpretato da Benigni) che narra le cronache del personaggio - precario ante litteram - nella campagna toscana degli anni ’70, specchio delle contraddizioni di un mondo sociale inadatto alla ormai rampante modernità. Circondato da un gruppo di amici ruspanti e soprattutto da una “turpe” madre (un’irriconoscibile Alida valli), parafrasi vivente della sanzione sulla biblica inconcludenza del figlio, il protagonista vagheggia un’immaginaria “rivoluzione”, improbabile quanto surreale – materializzata in un simulacro di Berlinguer, totem isolato sui prati come lo può essere solo uno spaventapasseri –. Tutta la sceneggiatura si risolve in un lungo soliloquio/turpiloquio, non privo di sensibilità naive, che la scorza durissima delle debordanti scurrilità non riesce a sopraffare. Possiamo ritrovare anche una filigrana di ingenua poesia nella libera, incontenibile trivialità, che riesce a non scadere mai nella gratuita oscenità, mentre si libra sui miasmi perversi dell’esclusione sociale. Si può dire che l’autenticità di questa visione di pan-lirismo universale, triste e pessimistica, una volta affrancata dalla facile “simpatia” toscana (alla Pieraccioni), risieda essenzialmente nella corporeità, riferendo – si parva licet – il nome del giovane Benigni di questo film a quello di Rabelais.